Per produrre un lampo gamma come Grb 170817A – il segnale elettromagnetico registrato in concomitanza dell’evento di onde gravitazionali dell’agosto 2017 – una stella di neutroni, per quanto di massa elevata, non è sufficiente: è necessario un buco nero. Lo dimostrano i risultati di una simulazione messa a punto da Riccardo Ciolfi dell’Inaf di Padova, pubblicati la settimana scorsa su Mnras Letters
Marco Malaspina 21/04/2020
Riccardo Ciolfi, ricercatore all’Inaf di Padova
Come fu prodotto il potentissimo getto di energia che accompagnò la fusione di stelle di neutroni più celebre della storia? Quell’evento, osservato il 17 agosto 2017 in simultanea da interferometri per onde gravitazionali e telescopi per onde elettromagnetiche, segnò la nascita della cosiddetta “astronomia multimessaggera”. Multimessaggera perché l’evento di fusione fu annunciato prima, appunto, da onde gravitazionali (in codice, Gw 170817) e – appena 1.74 secondi dopo – da onde elettromagnetiche ad altissima energia: il lampo di raggi gamma Grb 170817A. Quest’ultimo fornì la conferma – molto attesa dagli astrofisici – che le fusioni di stelle di neutroni possono dare luogo a un lampo di raggi gamma “corto” (short gamma-ray burst, short Grb). Ma cosa l’ha emesso, esattamente? Qual è la natura del “motore” che, avviato dalla fusione, ha prodotto quel breve ma potentissimo getto energetico?
Le possibilità sono essenzialmente due: una stella di neutroni molto massiccia o un buco nero di massa stellare. Da allora sono stati numerosi i gruppi di astrofisici che si sono cimentati con i dati raccolti durante e dopo l’evento per cercare di fornire una risposta. L’ultima proposta in ordine di tempo arriva, in realtà, non da un team ma da un single. L’articolo che la descrive, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, porta infatti la firma di uno scienziato soltanto: il ricercatore dell’Inaf di Padova Riccardo Ciolfi, membro delle collaborazioni Virgo e Grawita nonché coordinatore, per quest’ultima, del gruppo responsabile dell’interpretazione teorica dei dati.
«Sì, è vero, gli articoli single-author sono piuttosto rari, anche quando si tratta di uno studio teorico come il mio. Questo risultato», racconta Ciolfi a Media Inaf «arriva dopo qualche anno in cui mi sono concentrato sulla post-coalescenza di due stelle di neutroni, esplorando il caso in cui l’oggetto risultante sia una singola stella di neutroni massiccia in grado di sopravvivere, almeno per un po’, al collasso a buco nero. Dopo un primo studio sistematico pubblicato nel 2017, prima dell’evento Gw 170817, e un secondo lavoro nel 2019 mi sono imbarcato in solitaria su questo progetto più ambizioso, che ha richiesto oltre un anno di lavoro».
Un anno durante il quale Ciolfi, partendo da due stelle di neutroni virtuali (con masse di 1.44 e 1.29 masse solari, compatibili dunque con l’evento Gw 170817), ha messo a punto e analizzato una simulazione magnetoidrodinamica in relatività generale della loro coalescenza. Una simulazione con estensione temporale monstre: fino a 250 millisecondi dopo la fusione. Può sembrare poco, ma il record precedente – sempre ottenuto da Ciolfi – era di appena 100 millisecondi. Seguire l’evoluzione dell’evento per un periodo così lungo è stato l’ingrediente fondamentale per arrivare a capire se – e come – un getto di energia così elevata possa emergere da una stella di neutroni massiccia o se, invece, richieda la presenza di un buco nero.
La struttura del campo magnetico così come emerge in tre fasi successive della simulazione: da sinistra, 150, 200 e 250 millisecondi dopo la fusione delle due stelle di neutroni. Fonte: R. Ciolfi, Mnras, 2020
«Per la prima volta in una simulazione di questo tipo, abbiamo visto che un getto energetico collimato può in effetti essere creato anche in assenza di un buco nero, grazie alla combinazione del forte campo magnetico della stella e della sua veloce rotazione», spiega Ciolfi. «Ma ciò non basta a convalidare lo scenario: bisogna confrontare l’energia, la collimazione e la velocità del getto con quanto stimato per Grb 170817A».
Insomma, da un punto di vista squisitamente qualitativo l’ipotesi che a produrre il lampo gamma sia stata una stella di neutroni sembra reggere. Ma andando a confrontare le grandezze in gioco? Numeri alla mano, un simile confronto dà una risposta chiara: l’energia sprigionata dalla stella di neutroni massiccia risulta di gran lunga insufficiente, rendendo praticamente impossibile la produzione di uno short Grb. Dunque la spiegazione va cercata altrove. Non in un “meccanismo magneto-rotazionale”, qual è quello evidenziato dalla simulazione, bensì nel violento accrescimento di materia da parte di un buco nero.
Detto altrimenti, nella timeline degli eventi innescati dalla coalescenza delle due stelle di neutroni, l’emissione dello short Grb avviene dopo il collasso della stella di neutroni massiccia risultante dalla fusione, e non prima. Uno scenario, vale la pena sottolineare, che rafforza l’ipotesi secondo la quale là dove quelle due stelle di neutroni si sono unite ora c’è un buco nero. Il “motore”, appunto, all’origine del lampo gamma corto Grb 170817A.
«Una simile conclusione andrà confermata simulando un insieme più ampio di possibili condizioni fisiche, ma questo studio», conclude Ciolfi, «offre già un’indicazione molto chiara delle potenziali difficoltà che avrebbe una stella di neutroni massiccia nel produrre un getto abbastanza potente».
Se confermato, si tratta di un risultato di rilievo. Da una parte, indica che nell’evento di agosto 2017 il collasso a buco nero avvenne meno di 1.74 secondi dopo la fusione delle due stelle di neutroni. Dall’altra, più in generale, suggerisce che all’origine di qualsiasi short Grb ci debba essere un buco nero.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters l’articolo “Collimated outflows from long-lived binary neutron star merger remnants”, di Riccardo Ciolfi